E fu così che la sera del 6 agosto ci trovammo imbottigliati nel traffico indiavolato di Belfast, proprio nell’orario in cui le luci cominciavano a calare e gli uffici a chiudere. Non è stata una sensazione piacevole. Avevo lasciato il caos ben chiuso dietro la porta dell’hotel di Dublino ed ero seriamente intenzionata a farlo restare lì dov’era, quasi dimenticandomi della sua esistenza. Allontanarsi dalla città ti fa riconquistare la tua soggettività, ti fa dialogare con te stessa, fa sì che la tua personalità si specchi nei luoghi che ti circondano, che di conseguenza diventano un’altra parte di te, una sorta di emanazione del tuo corpo. Succede in ogni viaggio, lo so. Ma in Irlanda succede meglio.
Arrivati in hotel abbiamo deciso di fare una pausa dalla città e dalla sua confusione, restando in camera a programmare la visita del giorno successivo e sorseggiando caffè bollente.
La mattina dopo, fatta una colazione a base di cornetti confezionati che ci ha fatto subito rimpiangere quelle frittelle deliziose che nei B&B ti mettono nel piatto appena uscite dalla padella, ci siamo buttati a capofitto nella città e nella sua storia.
Non so dirvi per quale motivo Belfast non sia riuscita a prendermi, neppure con il senno di poi. La attraversavo scattando qualche foto, guardandomi intorno, sperando ad ogni scatto di riuscire a sentire qualcosa… nulla! Andarsene da un luogo a mani vuote di emozioni è la tragedia morale di ogni viaggiatore. Stavo per rassegnarmi e abbandonare la città al suo destino quando un brivido mi ha attraversato la schiena: ero nel bacino di carenaggio in cui è stato costruito il Titanic, che fa parte di un complesso di strutture oggettivamente (e soggettivamente) molto particolari.
Ho guardato verso l’alto lentamente, percorrendo con lo sguardo un muro che sembrava non avere fine e occhiata dopo occhiata mi sono passate davanti migliaia di vite, quelli dei naufraghi, ovviamente, e quelle di coloro che hanno dedicato il loro tempo alla costruzione del più grande disastro del Novecento. E’ stato un pensiero lungo ed elaborato, che solo quel luogo poteva evocare: mi sono accovacciata a terra e ho pianto.
Poco più in là, l’imponente Titanic experience, con la sua bellezza viva, sembrava strizzare l’occhio alla tragedia, sublimandola. Ho deciso di non entrare, mi è sembrato giusto concludere il mio dialogo immaginario con il Titanic e con Belfast dove mi sono cadute le lacrime.
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