7 Agosto, giorno 289: Viaggio in Irlanda. Alla scoperta di Belfast

E fu così che la sera del 6 agosto ci trovammo imbottigliati nel traffico indiavolato di Belfast, proprio nell’orario in cui le luci cominciavano a calare e gli uffici a chiudere. Non è stata una sensazione piacevole. Avevo lasciato il caos ben chiuso dietro la porta dell’hotel di Dublino ed ero seriamente intenzionata a farlo restare lì dov’era, quasi dimenticandomi della sua esistenza. Allontanarsi dalla città ti fa riconquistare la tua soggettività, ti fa dialogare con te stessa, fa sì che la tua personalità si specchi nei luoghi che ti circondano, che di conseguenza diventano un’altra parte di te, una sorta di emanazione del tuo corpo. Succede in ogni viaggio, lo so. Ma in Irlanda succede meglio.

Arrivati in hotel abbiamo deciso di fare una pausa dalla città e dalla sua confusione, restando in camera a programmare la visita del giorno successivo e sorseggiando caffè bollente.

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La mattina dopo, fatta una colazione a base di cornetti confezionati che ci ha fatto subito rimpiangere quelle frittelle deliziose che nei B&B ti mettono nel piatto appena uscite dalla padella, ci siamo buttati a capofitto nella città e nella sua storia.

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Non so dirvi per quale motivo Belfast non sia riuscita a prendermi, neppure con il senno di poi. La attraversavo scattando qualche foto, guardandomi intorno, sperando ad ogni scatto di riuscire a sentire qualcosa… nulla! Andarsene da un luogo a mani vuote di emozioni è la tragedia morale di ogni viaggiatore. Stavo per rassegnarmi e abbandonare la città al suo destino quando un brivido mi ha attraversato la schiena: ero nel bacino di carenaggio in cui è stato costruito il Titanic, che fa parte di un complesso di strutture oggettivamente (e soggettivamente) molto particolari.

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Ho guardato verso l’alto lentamente, percorrendo con lo sguardo un muro che sembrava non avere fine e occhiata dopo occhiata mi sono passate davanti migliaia di vite, quelli dei naufraghi, ovviamente, e quelle di coloro che hanno dedicato il loro tempo alla costruzione del più grande disastro del Novecento. E’ stato un pensiero lungo ed elaborato, che solo quel luogo poteva evocare: mi sono accovacciata a terra e ho pianto.

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Poco più in là, l’imponente Titanic experience, con la sua bellezza viva, sembrava strizzare l’occhio alla tragedia, sublimandola. Ho deciso di non entrare, mi è sembrato giusto concludere il mio dialogo immaginario con il Titanic e con Belfast dove mi sono cadute le lacrime.

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13 Luglio, giorno 264: ricompensa giapponese

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Una delle cose che adoro fare è provare nuovi sapori. In viaggio non sono una di quelle che si fionda nel primo ristorante italiano o che, al ritorno in patria, mangiando un piatto di pasta, afferma laconica: “Quanto mi è mancato il cibo di casa mia”! No, decisamente no! A Napoli c’è una strada completamente dedicata ai ristoranti etnici, basta trovare parcheggio (cosa nient’affatto facile!) e potete fare un viaggio intorno al mondo muovendovi di pochi metri: Messico, Brasile, Cina, Giappone, Grecia, Spagna, Etiopia, Marocco e tutto il mondo arabo. Ma l’idea di mettermi nel traffico e perdere minuti preziosi a trovare un posto per la macchina mi hanno fatto desistere, puntando direttamente sulla ben più pratica Avellino e il suo SoSoushi, un ristorante giapponese meraviglioso, proprio nel centro storico del capoluogo irpino, dove l’unica difficoltà è la scelta in un menù grande come un quadro 50×70!

12 Luglio, giorno 263: bollicine!

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E dopo la 43esima fatica di Ercole (sì, perché per laurearti in Lettere devi fare la bellezza di 43 esami, esclusi esami integrativi e ulteriori conoscenze linguistiche e informatiche) mi sono presa una giornata per fare tutto quello che lo studio mi aveva rubato: dormire (poco, per la verità, l’adrenalina era veramente arzilla), guardare Real Time, prendere il caffè con i tempi giusti, fare un po’ di sport, leggere Erri De Luca, e ovviamente brindare 😉

2 Luglio, giorno 253: riccia o frolla?

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Tra Amalfi e Positano, mmiez’e sciure

nce steva nu convent’e clausura.

Madre Clotilde, suora cuciniera

pregava d’a matina fin’a sera;

ma quanno propio lle veneva‘a voglia

priparava doie strat’e pasta sfoglia.

Uno ‘o metteva ncoppa, e l’ato a sotta,

e po’ lle mbuttunava c’a ricotta,

cu ll’ove, c’a vaniglia e ch’e scurzette.

Eh, tutta chesta robba nce mettette!

Stu dolce era na’ cosa favolosa:

o mettetteno nomme santarosa,

e ‘o vennettene a tutte’e cuntadine

ca zappavan’a terra llà vicine.

A gente ne parlava, e chiane chiane

giungett’e’ recchie d’e napulitane.

Pintauro, ca faceva ‘o cantiniere,

p’ammore sujo fernette pasticciere.

A Toledo nascette ‘a sfogliatella:

senz’amarena era chiù bona e bella!

‘E sfogliatelle frolle, o chelle ricce

da Attanasio, Pintauro o Caflisce,

addò t’e magne, fanno arrecrià.

So’ sempe na delizia, na bontà!

Vi è venuta la curiosità di scoprire le origini di questo dolce (e anche fame ma siete a dieta e non lo diciamo)? Se non vi è chiara la poesia in napoletano date un’occhiata a questo sito interamente dedicato alla sfogliatella, vi svelerà tutta la storia.

http://www.sfogliatella.it/storia.htm

P.S. nella lotta tra il Gigante Riccia e il Gigante Frolla, di solito tifo per Frolla. Ma non è che e poi vince Riccia ci resto male, eh, sia chiaro!

19 Maggio, giorno 219: cresimare: quando italiano e napoletano non vanno d’accordo

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Cresimare in italiano: dal latino ecclesiastico chrisma, derivato dal greco χρῖσμα, ovvero “unzione

Cresimare in napoletano: picchiare, prendere a schiaffi.

Ci stavo riflettendo proprio nel momento esatto in cui mia sorella era davanti al vescovo di Napoli in attesa di ricevere il suddetto sacramento e mia nonna ridendo disse “Mo ‘a cres’m! (ora la cresima)” evidentemente giocando sul doppio significato che la parola ha nelle due lingue (sì, il napoletano è una lingua, con le sue regole grammaticali e il suo lessico, opportunamente studiata e codificata).

Credo che tutto sia nato dall’usanza di dare una carezza più o meno intensa al cresimando (lo fa il vescovo o chi per lui). Se qualcuno di voi avesse notizie più certe, svelatemi l’arcano, ve ne prego!

 

25 Aprile, giorno 193: sono a dieta, mangio dolci!

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Quale giorno migliore per festeggiare la liberazione da grassi e zuccheri mantenendo il piacere libidinoso di mangiare cioccolato? La ricetta è semplice: prendete un giorno in cui si dovrebbe ricordare un evento di fondamentale rilevanza storica, in un paese che non ha mai e dico MAI imparato dal suo passato. Fatevi passare la voglia di celebrare il sopracitato evento e scegliete una cosa da cui non vedete l’ora di liberarvi. Io ho scelto di disfarmi dei carboidrati… Ho preso un vasetto di yogurt greco Total, ci ho aggiunto un cucchiaino di miele e 20 g di proteine in polvere al doppio cioccolato, un po’ di cannella e fragole fresche. Che soddisfazione per il palato e per… altro!

p.s. le fragole nell’immagine non ci sono, le ho aggiunte dopo. Ma ero troppo impegnata a deliziarmi per scattare un’altra foto 🙂