16/07/2012 Prima tappa: Avellino-Rifiano 930 km

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Già sapevo che mettere la sveglia sarebbe stato inutile: Stefano mi è venuto a svegliare felice come non l’avevo mai visto alle 5 tra il gallo che cantava e il sole ancora addormentato, un po’ come me! Tempo di fare colazione e preparare le ultime cose, la moto ha gridato la sua voglia di partire alle 8 in punto! Il mio coccige ha richiesto la prima sosta circa due ore e mezzo dopo… in effetti anche il mio stomaco cominciava a dare segni di insofferenza. E mentre io azzannavo il panino che avevo preparato la sera prima, Stefano mi guardava con la faccia interrogativa… “ma come fai ad avere già fame?” Le ultime parole famose: dopo 45 secondi stava scartando il suo panino, dopo 5 minuti l’aveva finito e dopo 5 minuti e 30 secondi mi aveva già chiesto se gli lasciavo un pezzetto del mio. Verso ora di pranzo siamo arrivati vicino Bologna: il caldo era terribile nonostante avessi aperto tutte le prese d’aria della giacca! L’afa e la musica che stavo ascoltando si sono alleate per farmi addormentare sulla schiena di Ste con un movimento ondulatorio a tratti violento che mi faceva urtare con il casco sulla sua schiena. Io lo chiamo “scapuzziamento” perché il napoletano è la lingua migliore per parlare di cose serie come o’suonn (il sonno, o il sogno: per noi è la stessa cosa, dice Erri de Luca). Col tempo Stefano ha imparato il segnale e al primo scapuzziamento cercava di restare immobile per farmi appisolare quel tanto che bastava per farCI stare tranquilli! Dopo 930 chilometri di paesaggi, colori e dialetti che sfumavano l’uno dentro l’altro ho avuto la certezza che il Viaggio era davvero cominciato! A Rifiano, vicino Merano, avevamo prenotato una camera in una pensione a conduzione famigliare incastonata in una valle color smeraldo. Ci ha accolti un signore anziano gentilissimo che ci ha chiesto subito quanti chilometri avessimo percorso; al mio “930” ha esclamato “caspiterina, 930, da non crederci” e mentre ci accompagnava nella nostra stanza ripeteva 930 scuotendo la testa come fosse un mantra. Se fossimo stati a Napoli avrei pensato che stesse cercando di ricordare la cifra per smembrarla e giocare due numeri al lotto; ma lì la storia è diversa, ad Alto Adige preferiscono Sud Tirol, il loro spirito è più germanico che italico e la lingua che usano per parlare in ciabatte è il tedesco: la lingua dà identità come nient’altro. La sera tanto per provare la cucina locale siamo andati a cenare in una pizzeria, l’unico ristorante aperto in quella zona. Però per non andare via a palato vuoto mi sono concessa un piatto “Mappatella style” (piatti di pasta dalle proporzioni non umane che i napoletani portano sulla spiaggia di Mappatella) di pasta con lo speck. Usciti dalla pizzeria abbiamo camminato un po’ per le stradine di Rifiano e tra le sue coltivazioni di mele. L’aria pungente mi ha fatto seriamente pentire di non aver portato una giacca con me… Ora sì che sono lontana da casa, ho pensato!

La data era stata decisa da tempo: 16 luglio 2012, giorno del mio finto onomastico e di quello (vero) di nonno. Stefano e io abbiamo parlato del Grande Viaggio per anni, quattro anni, da quando un viaggio con un altro sapore l’aveva portato da me. Ci è sempre piaciuto organizzare una partenza ma il Grande Viaggio ha avuto fin dall’inizio un posto speciale nei nostri discorsi; era una meta che aveva un gusto dolce e lontano, forse anche troppo. Andare a Caponord in moto era una di quelle cose che avevamo inserito in una lunga lista di cose da fare ma senza credere che in un lustro saremmo riusciti a spuntarne la casella.
Un giorno mentre parlavamo al telefono a Stefano si illuminò un’idea spettacolare: “Facciamo le Olimpiadi, ogni quattro anni partiamo per un viaggio epocale”… ma l’idea di Caponord era ancora nella sezione “sogni poco realizzabili”. Io volevo andare a Copenaghen in moto, l’avevo sempre immaginato così il mio primo vero viaggio sulle due ruote della nostra (ormai lo posso dire, ja!) Fazer. E’ cominciato tutto così, un pomeriggio piovoso di due anni fa. Ci mettemmo al pc a controllare tappe e chilometri e a mano a mano che la freccetta del mouse andava verso nord io cominciavo a sentire una piccola inquietudine, quella che solo le cose meravigliosamente grandi ti fanno provare. Arrivati a Copenaghen, ci sembrava di fare una scortesia alla moto nel non attraversare l’Oresund, il ponte sospeso tra Danimarca e Svezia. Ok, arriviamo in Svezia ma Oslo è a qualche centinaio di chilometri… forse vale la pena farci un salto. Dopo aver segnato anche Oslo tra le tappe del viaggio, Stefano batte le mani guardando in cielo, poi rivolto a me “arriviamo a Caponord, ti va?”. Quella che era una piccola inquietudine diventava una grande paura: sarò in grado? il mio coccige resisterà? capiranno il napoletano in Norvegia? il phon ci andrà in valigia? chi lo dice a papà? sciocchezze? sciocchezze! “Sì mi va!”. Abbracci e baci alle paure, ora c’era da organizzare il nostro grande, grandissimo Viaggio! Di disegni e progetti di strada ne abbiamo fatti tanti, sembravamo due ingegneri alla faccia della mia laurea in lettere e della sua in legge. Alla fine il percorso migliore ci sembrò questo: partenza da Avellino con prima sosta in Italia, due giorni tedeschi, due danesi e poi dritti in Norvegia, fino a Caponord, il nostro giro di boa. Finlandia, Repubbliche baltiche, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacca, Ungheria, Croazia e Slovenia avrebbero completato un quadro che sembrava meraviglioso già alle prime pennellate. Due anni sono passati in un soffio tra lavori saltuari per racimolare un (bel) po’ di soldi, ricerca di sponsor che investissero nella nostra idea e soprattutto opere di sfiancamento per convincere la mia famiglia ad approvare il progetto, firmarlo e magari chiuderlo con la cera lacca. Inutile dire che pochi giorni prima dell’ormai leggendario 16 luglio i bookmakers mi davano per rinunciataria e mamma e papà erano davvero convinti che io non sarei partita. E invece la storia è andata diversamente. Due giorni prima della partenza ho salutato col fazzoletto bianco svolazzante la mia famiglia e mi sono spostata con il doppio del mio peso corporeo in valigie ad Avellino, anche perché Stefano aveva calcolato che per preparare la moto ci sarebbero volute ore e ore di carico e scarico bagagli, per trovare l’equilibrio perfetto, per far entrare il phon, per lasciare un po’ di spazio per le cose che avrebbero dilapidato le pecunie del mio portafogli e per convincermi che la mia idea di valigia era assolutamente da rivedere. Alla fine anni di Tetris hanno dato i loro frutti e la mia valigia, manco a dirlo, è rimasta per 3/4 a casa! La moto era pronta, noi eravamo relativamente nervosi e mamma mi aveva già chiamato cento volte: tutto perfetto, dovevamo solo partire!